Le due vie della musica indiana

L'India è un paese la cui vastità, culturale e geografica, è evidente anche nella tradizione musicale.
La musica del subcontinente indiano comprende la produzione dell'India, del Nepal e dello Sri Lanka. La varietà degli stili e delle tradizioni musicali del subcontinente è proporzionale alla sua estensione geografica e alla sua densità di popolazione. Pertanto, così come non esiste una lingua indiana in senso stretto, è possibile affermare che anche la definizione di musica indiana viene utilizzata empiricamente per definire una realtà complessa e variegata. La musica indiana è caratterizzata da melodie solistiche o all'unisono, molto spesso accompagnate da un bordone, e dai cicli ritmici. Ricchissima è la varietà delle tipologie ritmiche e melodiche, e degli strumenti musicali.
L'invasione musulmana e l'istituzione del sultanato di Delhi nel XIII secolo, e dell'impero Moghul nel XVI secolo nel Nord del subcontinente, contribuirono a una biforcazione della musica classica in una tradizione settentrionale di musica indostana e in una meridionale di musica del Carnatico (la regione storica che corrisponde agli stati attuali del Tamil Nadu e dell'Andhra Pradesh), nonché a un graduale spostamento in entrambe dall'ambito religioso a quello dell'intrattenimento di corte.

Nonostante il carattere prevalentemente rurale dell'India, il rapido sviluppo delle comunicazioni e l'accesso ai mass media hanno contribuito a creare una forma di musica popolare panindiana del tutto estranea alle profonde differenze linguistiche presenti nel subcontinente. In buona misura ciò è dovuto all'industria cinematografica indiana, la più grande del mondo, che genera un'altrettanto diffusa produzione musicale fortemente influenzata da fonti autoctone e apporti occidentali.
Ma al di là delle forme popolari, è la tradizione classica a occupare un posto di rilievo nella musica indiana. Basata sul sistema melodico dei raga e su quello ritmico dei tala (vedi Musica Indostana), questa musica ebbe origine dai canti vedici dei primi colonizzatori indù, ma raggiunse la sua forma attuale negli ultimi quattro o cinque secoli. Il suo sviluppo millenario è documentato in una serie di trattati teorici, scritti perlopiù in sanscrito. Le origini della musica indiana giustificano dunque il primato della musica vocale, dalla quale derivò in buona misura la produzione strumentale seguita, come elemento integrante, dalla danza.

Nel sud dell'India si è sviluppato lo stile Carnatico, un sistema molto antico probabilmente di origini dravidiche. Pur essendo entrambe ( la tradizione settentrionale di musica indostana e quella meridionale di musica carnatica) forme musicali che si basano su ritmo e melodia (rag e tag) e che si esplicano nei sangit (rappresentazioni di danza, canto e musica) esistono sostanziali differenze tra i due stili. La più importante discordanza tra le due forme musicali è quella degli strumenti utilizzati.

Tra gli strumenti utilizzati dalla musica indiana occupano un posto di rilievo gli strumenti a corda come la vina e alcuni suoi derivati, tra cui il sarod e il sitar; tra gli strumenti a percussione, fondamentali per mantenere i cicli dei tala, vi sono il pakhawaj e il tabla, che accompagna quasi tutti gli stili vocali e strumentali; numerosi anche gli strumenti a fiato (srnga, shahnai, bansri).

Nel sangit Hindustano gli strumenti più caratteristici sono il sitar e la tabla. Il sitar è lo strumento indiano più conosciuto in occidente. Si tratta di uno strumento a corde, solitamente 17, di grandi dimensioni che viene suonato tenendolo coricato per terra. La tabla è costituita da due tamburi di dimensioni diverse che sono utilizzati per scandire il ritmo del sangit.

Lo stile meridionale Carnatico dà molta più enfasi alla voce, considerandolo, di fatto, il primo e più importante strumento del sangit, che viene accompagnata dalla vina, uno strumento a corde che si suona imbracciandolo, dal venu, un flauto a otto fori, e dal violino. Il violino, del tutto analogo a quello occidentale, viene però bloccato tra la pianta del piede e il tronco dell'esecutore, che lo utilizza seduto al suolo, e le tecniche impiegate dai maestri indiani riescono a far riprodurre sonorità molto diverse da quelle occidentali. Per suonare strumenti come il sitar occorrono decenni di pratiche e studi incessanti, ma i maestri di entrambi gli stili, grazie alla dedizione costante con cui si esercitano, raggiungono livelli di esecuzione eccelsi.

Le origini della musica classica indiana sono tracciate a partire dal più antico libro di sacre  scritture della tradizione indù, i Veda. Il Samaveda, uno dei quattro Veda, descrive la musica a lungo.
La musica classica indiana è di tipo monofonico ed è quindi basata su di una singola linea melodica. Lo spettacolo di una composizione comincia con gli interpreti che escono in un ordine prestabilito: prima lo strumento solista, poi il cantante e quindi i musicisti ed i percussionisti. I musicisti cominciano l'accordatura dei loro strumenti e questo processo spesso si mescola impercettibilmente all'inizio della musica.
Gli strumenti musicali indiani usati nell'esecuzione della musica classica sono la veena, il mridangam, il tabla, il kanjira, il tambura, il flauto, il sitar, il gottuvadyam, il violino e la sarangi.
Suonatori di tabla, un tipo di percussione, cominciano a colpire i bordi con un mazzuolo per assicurarsi che lo strumento sia accordato con il solista. Fondamentale è il tambura (chiamato anche tanpura) che tiene il bordone. Questo compito è solitamente affidato ad un allievo del solista.
Il raga comincia con la melodia che si sviluppa gradualmente e l'esecuzione corretta di un raga dura mediamente mezz'ora. L'introduzione del raga è detta alap nella musica indostana e alapana nella musica carnatica.
Nella musica indostana, una volta che l'esecuzione è iniziata, inizia a sentirsi l'articolarsi del canto in ornamenti e melismi, mentre il ritmo si velocizza gradualmente. Questa sezione è chiamata jor. Dopo il jor avviene una pausa; tutto si ferma ed il pubblico applaude. Finalmente, il percussionista comincia a suonare interagendo con il solista, eventualmente improvvisando in competizione con il solista.
Le esecuzioni di un raga nella musica carnatica sono generalmente molto più brevi. Il pezzo di apertura è chiamato varnam, ed è quasi un riscaldamento per i musicisti. Segue la richiesta di benedizione e quindi una serie di interscambi tra il ragam (melodia) e il thaalam (l'ornamentazione, equivalente al jor). Questo viene miscelato con l'inno chiamato krithi. Quindi segue il pallavi o tema del raga. I pezzi di musica carnatica possono anche essere elaborati; essi sono composizioni famose che sono gradite soprattutto a coloro che prediligono il canto piuttosto che la musica.
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Sulla musica indiana si trovano già documenti nella letteratura dal VI secolo a.C., e costituisce la più antica tradizione vocale del mondo giunta senza interruzioni sino ai tempi moderni, rappresentando uno dei più complessi e stabili elementi culturali dell'India.Sebbene vi sia questa divisione tra musica del Nord e del Sud dell'India, entrambi i filoni hanno origine e regole coincidenti. La base della concezione armonistica è un sistema di tre gamme analoghe che può suddividersi in 22 gradi, intervallo dei quali è superiore a 1/4 di tono del nostro sistema.

Un eminente musicologo indiano, il primo, vissuto all'incirca tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo, aveva riconosciuto nove sentimenti  obbligatori a un musicista:
amore;
divertimento;
pathos;
rabbia;
eroismo;
terrore;
disgusto;
meraviglia;
serenità.

Questi sono le emozioni basilari di tutta l'estetica indiana, i navarasas. Tutt'oggi l'India è basata su questi concetti di Sage Bharata.
La musica colta moderna indiana deriva direttamente da qui, e dai Veda, dove ce ne erano accenni, tramite una tradizione che prevedeve l'oralità per la trasmissione! Naturalmente anche qui c'è una casta che rappresenta i musicisti; questi venogno educati da bambini, ma non per particolare disposizione, dai maestri, con un percorso che oltre ad insegnare la tecnica, comprende un completo sviluppo dell'inviduo, dato che sono studiate anche nozioni spirituali, morali e religiose. La tradizione sulla quale continua a basarsi la musica colta indiana è decisamente opprimente per i musicisti, i quali hanno avuto la possibilità di apportare ben poche modifiche, ma è grazie a questo fattore che la musica che si continua a suonare è molto molto simile a quella di parecchi secoli fa'. In questa ottica la musica ha di per sé un valore relativo: essa non è fatta per intrattenere semplicemente, ma per trasmettere; durante il concerto il suonatore instaura un contatto fortissimo col suo pubblico, effettuando profondi scambi spirituali con esso; dopotutto la figura che se ne ottiene è quello del pusrusha con la prakrti nel Sàmkhya.
La musica indiana è considerata di derivazione divina.
Ma in un'India sempre più contraddittoria, dove microchips e le caste convivono tranquillamente, esiste anche una musica che può benissimo dialogare con l'Occidente. Dai Beatles in poi sono stati tantissimi quelli che si sono confrontati, hanno preso spunto dalla musica indiana. Il primo esempio fu portato in Norwegian Wood, sempre dei Beatles, che sebben incameri una frase musicale di tipo country, include sempre una sperimentazione dei strumenti indiani, che però era necessaria... da quel momento in poi la ricerca di qualcosa di nuovo per la musica pop: praticamente quella che noi oggi chiamiamo new age.

Il raga

I raga sono definiti spesso come tipi di melodie; il suo sistema è un metodo di organizzazione di melodie basato su definiti principi naturali: le melodie in un raga usano lo stesso swara in varie combinazioni, e con la pratica l'ascoltatore può percepirne la similitudine. Ogni raga ha un swaroopam, una forma o immagine musicale, che è definita dagli swara utilizzati, i gamaka dati a questi swara, la sequenza con la quale si succedono eccetera. Questa definizione è chiamata "raga lakshanam". I raga però non sono semplicemente raccolte astratte di swara che si succedono per produrre una melodia, ogni raga ha quell'immagine o swaroopam che caratterizza quel raga; una selezione arbitraria di swara non produce un vero raga swaroopam, ed è per questo che che si attribuiscono le fondamenta di esso alla natura.
I raga che conosciamo sono frutto di sperimentazioni di secoli: ognuno è associato con un sentimento che persuade l'ascoltatore e colui che lo suona. Ore e ore di esercitazione su un singolo raga (Saathakam) sono percepibili nella realizzazione del raga swaroopa da parte del suonatore, e questo è spesso riferito come ad un ottenimento del Dharshan di quel particolare raga. La sfortunata conseguenza di questo è che vari suonatori e compositori hanno concezione mentali di un singolo raga e questo è manifestato nella loro musica. La parte positiva di questo è invece che questo consente una grande varietà di musiche: è questa la ragione per la quale la musica carnatica non potrà mai essere imparata a fondo da un libro, ma necessita di un guru, che potrà rappresentare il raga swaroopam in maniera che l'allievo possa impararla. Dal punto di vista dell'ascoltatore, la realizzazione di un raga swaroopam significa che alcune qualità della musica possono essere anticipate e ciò contribuisce particolarmente al piacere di ascolto.
I raga si distinguono in due tipi, la base o melakarta raga, e il derivato o janya raga. Il melakarta raga ha una struttura formale a segue uno schema equamente rigido di organizzazione scientifica così come il janya raga è quello che "evolve" la melodia, infatti molti janya raga cambiano il loro carattere nel tempo, poiché sono derivati dai melakarta raga attraverso vari significati. I raga che conosciamo sono frutto di sperimentazioni di secoli: ognuno è associato con un sentimento che persuade l'ascoltatore e colui che lo suona.
Il raga comprende attualmente questi elementi essenziali:
una scala modale (minimo 5/massimo 9 note, che possono essere pure o alterate);
una gerarchia dei gradi;
degli ornamenti specifici; nella musica indiana sono indispensabili, infatti per essa una nota non ornata è come «una notte senza luna, un fiume senza acqua, un giardino privo di fiori»; alcuni ornamenti sono obbligatori;
l'esistenza di una forma melodica;
un senso modale; i raga creano ciascuno associazioni sinestetiche emotive diverse: alcuni inducono alla gioia, altri alla tristezza o alla serenità. Nella tradizione indiana generalmente viene sviluppato un solo raga in ciascuna esecuzione; solo in via eccezionale si possono mescolare le scale modali e gli ornamenti appartenenti a diversi raga nel corso di una stessa esecuzione. Esistono anche altri caratteri secondari, che riguardano l'attacco delle note, la durata delle note, il registro della voce ecc.
Vi sono precise relazioni tra i raga e gli astri, i principali elementi della natura e del giorno. A un'ora mattutina non si potevano suonare raga notturni, pena l'oscuramento del cielo.
Per cogliere autenticamente un raga, il musicista lo deve presentare nella sua integrità. Lo sviluppo segue sempre lo stesso procedimento:
improvvisazione a guisa di preludio in ritmo libero (alap);
improvvisazione ritmata (jog, seguito dallo jhada nel Nord, dal thanam nel Sud);
esecuzione di una melodia composta da un ciclo ritmico con variazioni melodiche e ritmiche (gat nel Nord, kriti nel Sud).

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